Papà
giocava a scacchi
con
abilità di campione,
conosceva
ogni mossa e le varianti
e
d’ogni spostamento prevedeva
tutte
le infinite ripercussioni
nel
magico quadrato bianconero
dove
i due eserciti schierati
impassibili
obbedivano ai suoi ordini.
Io
non ho mai voluto ricordare
le
regole d’un gioco che t’illude
d’essere
un dio, un generale
onnipotente
– mentre
sei
solo una pedina
che
nemmeno vede il recinto
della
scacchiera –
e
pur amando gli assi cartesiani
e
le simmetriche geometrie
di
quel balletto
mi
limitavo bambina a guardare
con
stupore un padre bambino, assorto
in
quel fiabesco campo di battaglia.
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