NELLE STANZE SEGRETE DI GABRIELLA MONGARDI
Poesia essenziale,
distillata, preziosa quella di Gabriella Mongardi. Versi brevi, folgoranti,
percorsi da bagliori improvvisi, da segreti incanti, da ancestrali legami con
la montagna.
Intercorrono venti anni dalla ‘plaquette’ La tela di Penelope a questa nuova
raccolta, ma la poesia è sempre colta all’apice del suo misterioso fiorire.
Quasi una raggiera, un intreccio di temi e ricorrenze si riverbera da un libro
all’altro. Esemplare è il richiamo alla
poesia eponima della prima raccolta in Risveglio.
La poesia di Gabriella si abbevera ad una
fonte di silenzi tramati di voci interiori. Scaturisce da intima necessità, da
un’occasione, un evento, un’immersione totale nel paesaggio montano. L’opera
per essere autentica deve nascere da necessità, affermava Rilke. Il poeta
praghese suggerisce inoltre che non esistono luoghi poveri e indifferenti,
tutto può essere trasfigurato con la forza delle immagini poetiche. Ed è ciò
che avviene nella poesia di Gabriella Mongardi: una discesa nella cosa,
nell’oggetto fino a coglierne quel lucore segreto, le pieghe intime, in una
compartecipazione totale, in un empatico slancio per abbracciare il mistero che
soggiace nell’ombra delle nostre vite.
Nell’emblematico titolo della nuova
raccolta, Nella stanza segreta,
aleggiano echi della Dickinson (Gabriella aveva magistralmente tradotto una
scelta di poesie nel libro di Giuliana Bagnasco L’incanto nella poesia di Emily Dickinson) ed è perfetta metafora
dell’anima. Ma “stanza” richiama anche altri significati: è, soprattutto,
equivalente a “strofa”; così sono organizzate le composizioni dall’autrice
monregalese che ama i silenzi e gli spazi bianchi. Un’altra poetessa cui la
Mongardi mi pare affine, sia per la vena intimistica sia per l’amore per la
montagna, è Antonia Pozzi.
Il titolo è estrapolato dalla poesia che
apre la raccolta, 5 Novembre 1994,
ispirata alla tragica alluvione del Tanaro. Una sorta di personificazione
dell’elemento acqua che, rompendo gli argini,
causa morte e distruzione. Infatti, la furia del fiume diventa un
pifferaio magico come nella fiaba dei Grimm, insensibile e freddo, «che non si
volta a guardare / il vuoto e la devastazione, / e nulla sa di ciò che porta, /
di ciò che lascia.». Sono versi
icastici; danno il senso dell’ineluttabile, colgono con folgorante intensità
l’impotenza dell’uomo di fronte allo scatenarsi delle forze della natura.
I leitmotiv
dell’autrice sono soprattutto scanditi dalle visioni montane dove selce, cielo,
albero condividono lo stesso fulgore di bellezza. Così avviene nella poesia dal
titolo in occitano Lou merze gros (Il grande larice): «ho imparato /
l’alfabeto dei suoi rami, / la sua lingua di vento». O nei versi “scolpiti” di Apparizione (dedicata all’Argentera):
«Ma nessuno sente / il tuo silenzio, / il tuo cuore / di ghiaccio e roccia su
cui poggia / la nostra vita / dispersa, / il fragile equilibrio/ dei tuoi
cristalli / di granito.».
Gabriella in questa ‘plaquette’ ci dischiude
immagini di intima bellezza, esplora con uno sguardo preciso e ravvicinato
microcosmi palpitanti di vita vegetale, minerale, umana. Incastona nei versi
metafore e similitudini con perfetta aderenza all’oggetto, con un sapiente
gioco tra originalità, semplicità, vivida freschezza...
Spesso si avvale della scansione in strofe
dai versi brevi e compatti, con sottili richiami fonici, allitterazioni. Le parole
sono concise, luminose come scaglie di
mica. Talora inarcature marcate originano una musica franta, scandita,
pulsante. Non appaiono rime proprio per coerenza con il senso di “scabro ed
essenziale” che connota il mondo dell’alpe.
La raccolta, pur se allineata con la
precedente, come ramificazione di uno stesso albero, ci apre nuovi squarci di
“stanze segrete” nella continua ricerca di corrispondenze fra natura e animo
umano. Gabriella si piega sulla corrente del tempo e ne coglie impercettibili fruscii,
iridescenze di istanti fugaci, baluginare di incanti e visioni. Da sempre
risale i tortuosi sentieri delle nostre vallate per farci dono di parole che
intrecciano ponti verso l’infinito.
Remigio Bertolino
ad Alice
5 NOVEMBRE 1994
L’acqua di Tanaro arriva piano,
guardinga, in esplorazione –
copre l’orto e la corte
si insinua in casa
sotto la porta chiusa
scende le scale della cantina
colma non vista la cucina
trova la stanza segreta
e in segreto se ne impossessa –
vuole una casa anch’essa,
vuole fermarsi un momento,
dormire una notte in un vero,
in un solido letto…
Ma al comando geloso del fiume
si scuote s’ingorga risucchia ruba –
e la seguono piatti e bicchieri
e tavoli e armadi e corredi
e quaderni e specchi e matite
al suono di una musica che non udite –
e l’acqua precipita in fuga
con le valigie
affardellate di nostri tesori –
pifferaio di Hamelin
che non si volta a guardare
il vuoto e la devastazione,
e nulla sa di ciò che porta,
di ciò che lascia.
SLIDING DOOR
Scrivi prima che sia troppo tardi,
prima che la velocità di fuga
superi la gravità e i codici
diventino indecifrabili garbugli.
Scrivi prima che sia troppo tardi
e la traduzione impossibile,
prima che l’antimateria annichili
l’universo e un buco nero inghiotta
irresistibile il collasso di tutto.
Scrivi, prima che sia troppo tardi.
APPARIZIONE
Appari
d’un tratto
Argentera sovrana,
possente
canto della Terra,
cassaforte del Tempo.
Forze sublimi nei
millenni
ti hanno forgiata
impastando
fondali marini e
viscere di vulcani
in una metamorfosi
d’impassibilità.
Ma nessuno sente
il tuo silenzio,
il tuo cuore
di ghiaccio e roccia
su cui poggia
la nostra vita
dispersa,
il fragile equilibrio
dei tuoi cristalli
di granito.
SALENDO IL MONDOLÈ
Nei passi
con cui salgo il Mondolè
camminano
mio nonno
e mio
padre
e tutti
quelli che negli anni
m’hanno
insegnato
ad amare
le montagne.
E anch’io
quando il
mio tempo
sulla
Terra sarà finito
camminerò
nei passi
di chi
dopo di me
salirà le
mie montagne,
ne saprà
i nomi,
i fiori,
i panorami.
CORSO STATUTO 1
Nella casa sulla cascata abitavano
i nonni
il pianoforte
i gatti
i quadri degli antenati
due bergère
e sotto la finestra della cucina
la cassapanca scura
su cui noi bambini
salivamo
per affacciarci al mondo.
IL FILO DI ARIANNA
Ci sono altri fili?
La cesta del cucito ne trabocca,
in matassine, gomitoli, spolette –
filo da ricamo, da rammendo,
da imbastire, filo forte…
Se cerchi bene trovi anche spago,
stringhe, corde di violino,
nastri magnetici, capelli,
canzoni, discorsi, versi…
Basta, per tendere una rete
che veli il vuoto
sotto i piedi dell’acrobata?
Ma ci sono altri fili?
LA MIA LINGUA
La mia lingua non mi appartiene –
è un collage
di parole di altri,
parole in me sopite
che riconosco nei libri.
La mia lingua non mi appartiene –
come non mi appartengono i geni
i neuroni le cellule gli atomi
da cui sono formata.
Bambina, cocciutamente ho studiato
come si combinano i suoni
a creare parole, le parole
a creare discorso.
Adesso conosco tutte le Parole,
le loro Leggi, il loro Potere –
ma con il mio nome di bambina
nessuno più mi chiama.
RISVEGLIO
Uno schiocco di dita
e il labirinto pauroso svanisce –
svaniscono Tantalo e Sisifo,
Calipso e le Sirene, il giudice Minosse,
le Erinni, le Arpie –
i marosi affilati hanno sbranato
la tela di Penelope –
Atropo sola attende.
FELICITÀ
Forse è esistita la felicità –
è stato in anni
lontani, forse sognati,
irrecuperabili. Invano la
cerchi riordinando i tuoi cassetti,
invano frughi nella borsetta
tra vuoti ostinatamente crescenti.
Allunga il passo verso casa: è notte.
INNO ALLA
NOTTE
Il mio cuore trabocca
dei doni della notte,
la magnolia è in subbuglio,
alla finestra fremono gli ellebori.
Nel grembo della notte
pulsano battiti e carezze,
frulli d’attesa, fiducia e dolcezza –
l’oboe lancia stelle umide
di buio, il vento
le raccoglie
e si profuma
di notte.
LEÇON DE TÉNÈBRES
Siano lievi carezze le parole,
si tengano a distanza
dalla fiamma
che avvampa le farfalle
nella notte…
E non abbiano paura
delle tenebre –
è nell’eclisse
nell’assenza
nel vuoto
la Verità.
IL FABBRO
Non ci sono segreti,
solo ricerca di bellezza
con la forza della luce.
Nella mia fucina incandescente
dono scintille di me stesso
alla materia inanimata,
insegno il volo e il canto
a corpi gravi.
LA POESIA
La poesia s’annida nelle crepe
di metafisici muri,
nella polvere
di strade smarrite –
come mica nelle pietre risplende
nello sfibrato sfacelo delle vite.
LOU MERZE GROS
Ho abbracciato un albero
immenso,
padre figlio fratello,
ho fatto il nido
fra le sue radici,
ho imparato
l’alfabeto dei suoi rami,
la sua lingua
di vento.
DA CIMA DURAND
Ho chiamato per nome le montagne –
all’appello non mancava nessuna,
nessuna si sottraeva allo sguardo:
erano virgole di neve e strapiombi,
pentagrammi di assoluta armonia…
Remote, perfette nella loro bellezza
si concedono a un amore leggero,
senza possesso né gelosia –
il nome con cui le riconosciamo
è la sola carezza che le sfiora –
il solo dono
la loro presenza.
SILENZIO
Contempla.
Ascolta. Taci.
Misura.
Confronta. Comprendi.
Nessuno
risponde alle tue domande.
Non
turbare il silenzio
della
montagna
se non
con il rumore dei tuoi passi.
TRACCE
Non lascerai tracce.
Dopo il passaggio della nave
il mare si richiude,
non è graffiato il cielo
dal volo degli uccelli.
Il silenzio riassorbe indifferente
le note più strazianti e più sublimi,
il tumulto del cuore non increspa
la curvatura dello spaziotempo.
No, non lasciare tracce.
È TUTTO
Dall’acqua all’aria,
dall’aria alla terra –
da un pugno di cellule
a un pugno di cenere –
dal buio alla luce al buio:
è tutto.
VIVI NASCOSTO
Vivi nel nascondimento,
sfoglia foglie di nebbia
e fili di vento.
Sfoglia la corteccia dei sospiri
e la corona dell’alfabeto,
sfoglia la svogliatezza
e la tristezza,
la mancanza e la pienezza.
Sfoglia i giorni
le ore
i minuti
e di nascosto spiane il fluire,
di nascosto godi il profumo
del silenzio
e del segreto.
PESO
La catasta dei giorni
non ha più peso
di un respiro –
basta un fiocco di neve
a farla crollare.
ISTANTANEA
Sono solo colori
rubati al volo del tempo,
sono solo parole
di una lingua straniera…
strisce verdi di grano –
bandiere di primavera
fra le zolle d’oro dei campi –
finiscono nel grigio
velluto del cielo,
palizzate di pioppi
chiudono
in gabbia lo sguardo –
il tempo
si mette in posa.
È TEMPO
Separerò il grano dal loglio,
le lacrime dell’io ferito
dall’ebbrezza di un Annuncio:
il Tempo per me, solo per me, ritorna,
mi scrive lettere d’amore
sui seracchi,
legge i solchi scavati nella roccia,
i geroglifici sulla neve…
È tempo: eccomi.
DIVERGENZE
Inspirare, espirare
convergere, divergere
avvicinarsi, allontanarsi
concepire, partorire
addormentarsi, risvegliarsi
dentro il respiro,
dentro il mistero,
dentro…
LA
MAGNOLIA
All’ombra della magnolia
si acquatta la tenerezza,
l’aria brulica di sospiri,
pulsano lucciole fra i rami.
Fra le foglie dure della magnolia
fioriscono parole,
la luna si fa un nido di profumo.
LA COLLINA DELL’ANIMA
La Collina dell’Anima mi porta
una promessa ogni mattina.
La guardo da lontano dominare
la pianura, parlare alla pari
alle montagne,
ne risalgo impavida i ruscelli,
ne percorro
le rughe e le forre
ove s’infratta la sua anima –
profumo di castagne
bruciate da bambina
e di camini ansimanti sui tetti,
muffa di cantine senza finestre,
fioche fosforescenze di parole.
LONTANANZA
In lontananza
fluttuano forme leggere
di montagne,
le cime appese al cielo –
un disegno di bambino
inciso d’ombra
dal sole che tramonta.
Inconsistenti
si fanno d’ombra
opere e giorni,
quando il tempo si assottiglia
e dentro le montagne cresce
lontananza…
YIN E YANG
Vertiginosamente
impone il monte la sua ombra
sulla conca,
sprigiona
la sua rocciosa ribellione,
il bisogno di lotta
e di sfida –
le falde di luna
sprofondate
nella quiete della conca,
nido d’erba autunnale
e zucchero filato.
FESTA MOBILE
Larici infuocati
risalgono la valle,
rocce in abito bianco
si slanciano nel cielo,
pioppi tremuli
palpitano d’oro,
di attese non dette, di
segreto.
Eppure nulla muove la
montagna
né la turba. Nulla.
Nessun gioco di specchi
cambia
il suo inverno con il
nostro.
PIETRAIA
Ti manca un po’ la terra sotto i piedi?
Normale, basta farci l’abitudine,
farsi leggeri come equilibristi,
sviluppare un’attitudine al volo
non cancellata dall’evoluzione,
guardare fisso gli occhi del Destino,
lo sguardo ipnotico della Signora
dal riso secco, ossuto e digrignato
come questa pietraia d’alta quota.
OBLIO
Sono stanche stasera le montagne,
hanno freddo, hanno sonno…
Soccorrevoli
si affollano le nuvole
intorno, le abbracciano,
sprimacciano cuscini e li dispongono
a corona, a cascata –
vi abbandonino il capo
in quel morbido il peso
della pietra si sciolga – e le montagne
per una notte dimentichino
di essere montagne.
COME SEMPRE
Anche questa notte finirà,
la notte più lunga dell’anno –
e nel buio più grande crescerà
la luna, più bianca
la sua musica ti accarezzerà.
Ritroverai sogni dimenticati,
dimenticherai il peso del cuore
e la notte più lunga finirà,
come sempre.
DOPPIO SOGNO
Sotto il tendone del circo il pagliaccio
sogna la luna e nel sogno
non sa più a chi dei due appartenga
il volto bianco e rotondo
le lacrime che lo cancellano
la musica che culla il vuoto…
Sotto il tendone del cielo la luna
sogna d’essere il pagliaccio che piange,
la luce azzurra che riempie la notte –
e il trattino del treno
si allontana nel vuoto.
DIFESA
"Vengo volando!"
E ti muovevi a passettini, nonno,
senza forze e senza fiato –
l’indicibile leggerezza,
l'ironica grazia
la tua unica arma di difesa…
E ti muovevi a passettini, nonno,
senza forze e senza fiato –
l’indicibile leggerezza,
l'ironica grazia
la tua unica arma di difesa…
PASSI E PAROLE
Timidamente pronunci parole
incerte come primi passi –
le lanci nell’aria stupita
che siano un richiamo –
che abbiano risposta.
Timidamente accenni passi
incerti come prime parole –
esitano i piedi a toccar terra
per paura d’inciampare –
nelle parole che non dici…
AUTUNNO
S’è rinfrescata l’aria
nel giardino,
l’ombra s’è fatta
leggera leggera,
ha accarezzato in punta
di piedi
le sedie vuote,
le parole non dette –
il suo misterioso
sorriso
è riparo, congedo, distacco
–
il giardino attende
l’inverno.
FINALMENTE
Finalmente è arrivata
la gelida luce
d’inverno,
la cristallina purezza
dell’aria,
la trasparenza
di un sorriso di brina
–
un sorriso distante,
custode di germogli
di giorni più lunghi,
nido di gemme
di primavera.
IL VENTO TRA I LARICI
I larici si destano
trepidanti a notte fonda,
è arrivato il vento.
Bisogna approfittarne,
abbracciarsi, accarezzarsi,
toccarsi: quante cose
da raccontarsi!
È tutto un brusio
un ronzio –
e
sussurri e
sospiri e
pispigli …
Bisogna approfittarne,
non si sa quando
il vento cessa, quando
arriva solitudine
e silenzio
e immobilità.
FLUIRE
Nelle pieghe dei calanchi
cola una luce grigia,
nel fiume il cielo
lentamente scioglie
nuvole di tufo.
Nelle pieghe della pagina
scorre la vita taciuta,
la penna incide la pena,
l’inchiostro trova
un argine al fluire.
CONGEDO
Vorrei accarezzarti la fronte, sentire
fra le mie dita i tuoi occhi
profondi, vorrei
prendermi cura di te.
Vorrei, ma sono troppo lontana –
vorrei, ma non ne sono in grado –
ho solo parole da darti, nient’altro,
parole d’amore soltanto, ma tu…
Abbi cura di te,
mio lettore.
ALLA FINE
Alla fine,
passa tutto a uno stretto setaccio –
nevicherà il non-detto,
il non-fatto, il sognato,
gli scarti, i sottintesi –
e quella nevicata
appagherà il tuo cuore.
(grafica di copertina di Teresita Terrreno: Gatto alla finestra, pastello, 2017)
Mondovì, gennaio 2018, fuori commercio.
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